Le tre fasi inevitabili di una legge italiana sono l’indifferenza, la caciara e il teralluccievvino. Dopo la fase 1, durata tutto l’anno trascorso fra pubblicazione del provvedimento nel silenzio generale e la sua effettiva entrata in vigore l’1 giugno 2015, direi che con la cookie law siamo già nella fase 2.
Cerchiamo di aggirare la caciara e di fissare qualche punto sul provvedimento italiano della cookie law:
- è inutile: non aumenta le tutele per chi naviga in Internet
- è dannoso: favorisce l’incremento della navigazione “a propria insaputa” grazie alla geniale trovata del banner
- è antieducativo: l’utente è visto come un minus habens della cui sicurezza devono farsi carico gli altri
- è obsoleto e limitato: si concentra sui cookie quando la raccolta di dati personali è pervasiva e incontrollata
- è squilibrato: pone vincoli ai piccoli attori (siti web aziendali o addirittura amatoriali) lasciando i grandi player (i cosiddetti “social network”) liberi di agire come vogliono, indisturbati
- è in molti casi inapplicabile: ad esempio, se hai un blog su typepad, wordpress.com o blogger.
Il Garante non ha ottenuto questo risultato da solo. Si è avvalso del valido aiuto dei principali che attori che hanno un interesse diretto nell’inefficacia della legge a tutela sui dati personali, ossia le associazioni di digital marketing. Ma di questo parliamo un’altra volta.
Dicevamo, la caciara. Parlando di cookie law, ho sentito perfino dire che violi libertà di espressione. Manca solo la reductio ad Hitlerum e siamo a posto. Diciamo le cose come stanno:
La cookie law non tocca minimamente il tuo diritto di esprimerti. Tocca solo il tuo preteso diritto di usare gratis strumenti online, in cambio della profilazione del tuo pubblico.
E questo, semmai, è il punto: non esiste il diritto ad avere qualcosa gratis online.
L’inganno del gratis
Il gratuito è un modello di business come un altro. In particolare è il modello usato da Google, e da tutti i cosiddetti “social” per conquistare la posizione che hanno. Nessuno strumento online è gratuito: il suo costo è l’acquisizione indiscriminata e incontrollata dei nostri dati personali.
La vera colpa del Garante non è un provvedimento ridicolo, inutile e dannoso; la vera colpa del Garante è trasmettere l’idea che la tutela dei dati sia un impaccio burocratico di cui sbarazzarsi. E questo, nel momento in cui l’economia si sta trasformando in economia dei dati, è una mancanza che sconfina nel crimine.
Torniamo al gratis: non esiste il diritto a tenere un blog gratis “per potersi esprimere” più di quanto esista il diritto a una copia illegale di Photoshop perché “ti serve per lavorare”.
Il grande inganno delle piattaforme online è avere illuso tutti di avere qualcosa gratis, e addirittura di averne diritto, solo perché i costi reali erano intangibili. Naturalmente, nessuno è innocente: a tutti ha fatto comodo illuderci che la compravendita dei nostri dati fosse una quisquilia.
La aziende si stanno accorgendo solo ora (complimenti, dopo quasi un decennio) che il business di Google, Facebook & c. non è procurare pubblico gratis. Che cattivi, eh? D’altra parte, è così. Se vuoi raggiungere tutti quei “fan” della tua pagina e del tuo profilo, devi pagare la piattaforma che te li ha procurati. E se poi, venale che non sei altro, non ti basta raggiungerli ma vuoi davvero vendergli qualcosa… oh-oh, le piattaforme online non calcolano il costo delle campagne in base ai tuoi risultati di vendita. Curioso, eh? Sei pronto ora a parlare del “costo spropositato” del tuo sito o del tuo e-commerce?
Uscire dal sogno
In questi anni abbiamo vissuto in un sogno: il sogno di un mondo online dove tutto fosse gratuito, tutto dovuto, dove non c’era alcun bisogno di studiare o capire nulla per essere sempre all’avanguardia. Finalmente ci eravamo liberati di quegli informatici pallosi.
E in questo mondo meraviglioso non c’era più bisogno di fare budget, valutazioni, raffronti, compromessi: sarebbe bastato aprire una pagina su Facebook e la gente avrebbe fatto la fila per diventarne fan. Per fare cosa? Non importava. Eri diventato interattivo. Potevi avere mille fan in una notte. E se per caso scarseggiavano i fan veri, ecco che con qualche euro ne potevi avere 5mila, 50mila, finti ma che facevano numero, e il numero è già notizia, e i giornali e le televisioni avrebbero parlato di te, si sarebbe generato il buzz, avresti avuto visite, like, saresti diventato una star. E se eri un’azienda, le agenzie erano lì con le loro analytics a parlarti di engagement, di bounce rate…
Le aziende ci hanno messo un po’ a capire che quelli che gli vendevano engagement e interactive advertising erano gli stessi che un decennio prima gli vendevano quell’altra bufala delle impression. Sarà stato quando han cominciato a chiamarli display ads invece di interactive ads perché nessuno poi ci interagiva (come dice dotcoma.it)?
Ma ora il sogno è finito. Il Garante sta facendo la cosa giusta. La sta facendo nel modo più sbagliato e controproducente possibile, ma
Sei tanto insaputo da contribuire alla profilazione universale di Google e Facebook e non riesci nemmeno a guadagnarci? Sappi che non vale come scusa.
Cosa fare se sei un blogger senza fini di lucro
- smetti di usare Google Analytics: sapere davvero quanta gente ti legge serve solo a deprimerti
- paga quel che devi per avere un blog senza pubblicità (se c’è pubblicità, c’è profilazione, anche se tu non hai accesso ai dati —bravo fesso)
- occupati di scrivere, non di essere letto, i contenuti interessanti hanno personalità, il resto sono redazionali
- sappi che una comparsata in una radio locale, o un’ospitata a una fiera di settore ti portano più opportunità reali di tutti gli AdSense e le AdWords di questo mondo
- se invece vuoi tenerti gli AdSense, il fine di lucro c’è, quindi pagati la notifica al Garante
Cosa fare se sei un’azienda
Caro Amminstratore Delegato, cogli l’occasione per ripensare da zero la presenza digitale della tua azienda. Ricordati che l’azienda esiste per fare profitti, non per altro. Quindi:
- nessuno ti obbliga a essere su Internet: è una tua decisione, e tue sono le conseguenze
- il tuo sito è la tua immagine per il mondo: se ricorda le nozze con i fichi secchi, meglio non averlo
- l’ecommerce è come un negozio, e non può costarti di meno
- i social devono portare gente sul tuo sito e i tuoi prodotti, o tu stai lavorando per loro
- lasica perdere quelli che lavorano per la passione e due lire e comincia a pagare sul serio quelli che hanno le competenze (tuo nipote se ne farà una ragione, credimi).
Buona parte del motivo per cui c’è ancora caciara è che gli *avvocati*, non io, sono in gran disaccordo fra loro, cioè per ognuno che dice “se invece vuoi tenerti gli AdSense, il fine di lucro c’è, quindi pagati la notifica al Garante” ce n’è uno che dice il contrario, e magari pure qualcosa dal Garante, che sembra dare ragione al secondo. Vedi quanto ne ho scritto qui
eh, sono d’accordo. Mi vengono in mente due esempi eclatanti che ho sentito proprio l’altro giorno: per uno AdSense implica il fine di lucro, per l’altro no.
Forse la cosa più grave che il Garante abbia fatto in questi anni è stata proprio di trasformare una legge chiara e comprensibile in un guazzabuglio buono solo per far disquisire gli avvocati (a spese nostre).
Il tutto mentre i veri problemi di abuso dei dati personali, nei social e in tutto il mondo immateriale come Snowden insegna, vengono bellamente ignorati. Per dire, a te risulta che sia stato punito qualcuno (in modo serio e proporzionale, dico) per quella vecchia questione dello spionaggio Telecom?
Mi permetto qualche appunto sulla traduzione del banner per la cookie law in inglese.
Google Analytics are set to anonymous mode.
Google Analytics è il nome del prodotto/servizio, a essere in modalità anonima è il servizio. Google Analytics is set to anonymous mode.
Usare il plurale sarebbe come dire “Windows are set to anonymous”…
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grazie! avrei giurato che nessuno leggesse le informative 🙂
vedo di aggiustare
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